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Sant’Efisio è un’invenzione del 1650

Sant’Efisio è un’invenzione del 1650

“Così hanno inventato Sant’Efisio: il documento che riscrive la storia”

De Barbaricinorum fortitudine

Per chi preferisce l’ascolto, ho creato anche un file audio in formato podcast con il riassunto completo dell’articolo. Puoi ascoltarlo mentre sei in viaggio, al lavoro o durante una pausa

LA VERA STORIA DI EFISIO: SAGGIO STORICO BASATO ESCLUSIVAMENTE SUL “BARBARICINORUM LIBELLI”
PARTE I – L’ORIGINE MILITARE DI EFISIO: NON UN SANTO MA UN COMANDANTE IMPERIALE

Quando si parla oggi di Efisio, la mente corre subito alla processione del 1° maggio a Cagliari, alla devozione popolare e alla figura del “santo” protettore contro la peste. Tuttavia, i documenti antichi raccontano un’altra storia. Questo saggio ha lo scopo di ricostruire parola per parola, senza aggiunte la figura reale di Efisio, com’è testimoniata nell’opera Barbaricinorum libelli, che trascrive la narrazione della sua vicenda dal racconto del presbitero Marco. Il testo non è una leggenda ma un resoconto storico con elementi mistici, situato nell’ambito delle campagne militari romane contro i popoli montani della Sardegna, detti Iliensi e Barbaricini.

Il primo elemento da chiarire riguarda l’origine di Efisio. Nel testo non si trova alcun riferimento al fatto che egli fosse cristiano al momento della sua partenza. Anzi, la sua nomina da parte dell’imperatore Diocleziano e il suo ruolo all’interno dell’esercito romano indicano chiaramente che Efisio era parte dell’amministrazione imperiale e quindi pagano. Non viene chiamato “sanctus” nei passaggi iniziali, ma “Stratelates”, un soprannome che evidenzia il suo status di comandante.

«Periodicamente, come s’è detto, i Romani inviavano contro i Barbaricini comandanti validissimi forniti d’esercito. Così fece anche Diocleziano con Efisio…»

Queste parole mostrano che Efisio fu inviato in Sardegna con un esercito. Non per predicare, ma per combattere. Nessuna missione evangelica. L’Impero non usava soldati per convertire, ma per sottomettere. I suoi nemici erano gli Iliensi, chiamati così nel testo e identificabili con i Barbaricini.

PARTE II – LA GUERRA CONTRO I BARBARICINI E LA TEMPESTA: UN COMANDANTE MESSO ALLA PROVA

Il resoconto continua con la descrizione della traversata e di una battaglia devastante. Mentre Efisio sta per sbarcare, una tempesta affonda quindici navi. I soldati superstiti vengono massacrati dai barbari appostati lungo la costa. Questo è un elemento cruciale: Efisio viene sconfitto, o almeno decimato, e solo per caso non è sulla nave affondata.

«Sorse nel mentre una violenta tempesta… I barbari, che erano schierati lungo la costa, catturarono e trucidarono tutti gli uomini trovati sulle navi.»

Questo non è un martire, ma un generale alle prese con una disfatta. È qui che si apre uno spiraglio mistico: impaurito, Efisio prega. Non come cristiano, ma come uomo disperato. La sua preghiera è rivolta a un Dio misericordioso, senza connotazioni dottrinali. È un grido umano, non un atto di fede costruita.

«Efisio… pregava il Signore: “Non fare, o Signore, che le acque tempestose mi sommergano.”»

PARTE III – LA CONVERSIONE: UNA VISIONE, NON UNA MISSIONE

Dopo la fuga dalla tempesta e l’arrivo in terra sarda, Efisio e i suoi risalgono un fiume e sbarcano nella regione chiamata Arborea. Di notte, nel sonno, avviene l’episodio centrale: una visione mistica.

«Apparve a lui il Salvatore del mondo Gesù Cristo che gli diceva: “Gaudio sia a te sempre”…»

Questa è la vera svolta. Non una missione cristiana già avviata, ma una conversione postuma, dettata da una rivelazione personale. La reazione di Efisio è coerente: comunica la visione ai suoi soldati e li invita a continuare, fortificati dalla presenza del Cristo.

Questo passaggio smentisce categoricamente l’idea che Efisio fosse un cristiano mandato in Sardegna. Il suo battesimo spirituale avviene in sogno, durante la campagna, dopo la morte di gran parte del suo esercito.

PARTE IV – LA BATTAGLIA DECISIVA E L’ANGELO ARMATO: UNA VITTORIA NON POLITICA MA DIVINA

La narrazione raggiunge il culmine con la descrizione della battaglia presso il Tirso. Efisio si prepara al combattimento, ma ciò che accade è fuori dall’ordinario: appare un angelo, armato di una spada a due tagli, che gli consegna la Croce come segno di vittoria. Non è un’esaltazione militare, ma un evento spirituale. Efisio non si esalta: si prostra.

«Scendendo da cavallo e deponendo le armi belliche, si prosternò a lui in atteggiamento di adorazione…»

Il segno è chiaro: l’Impero aveva fallito, Dio invece no. La vittoria dei romani sui barbari non è politica ma divina. Quando Efisio riceve la spada, si realizza il miracolo: i nemici fuggono senza combattere.

«Furono pervasi da un incomparabile timore e, volte le spalle, iniziarono a fuggire disordinatamente.»

La narrazione non glorifica il potere imperiale. Anzi, chiarisce che solo per intervento divino i Barbaricini fuggono. È Dio che guida Efisio, non Roma.

PARTE V – I BARBARICINI NON VINTI: LA MISSIONE DI EFISIO NON FU LA SOTTOMISSIONE DELL’ISOLA

Dopo la vittoria miracolosa ottenuta grazie all’apparizione angelica, il testo si sofferma su un punto fondamentale: Efisio non riuscì a sottomettere del tutto i Barbaricini. Questo è il dato storico che rompe definitivamente con l’immaginario moderno del “santo vittorioso protettore dei sardi”.

Il testo lo afferma con chiarezza:

«Ma furono vinti del tutto? Furono tutti sottomessi al giogo della servitù? No di certo, visto che la volontà divina non era questa…»

Questo passaggio è essenziale per comprendere che Efisio non fu il trionfatore militare che oggi viene celebrato, ma piuttosto uno strumento momentaneo di un disegno divino, limitato e parziale. La sua azione per quanto assistita da eventi soprannaturali non bastò a piegare le popolazioni montane della Sardegna.

Il testo ribadisce che la resistenza dei Barbaricini continuerà anche dopo Efisio, fino al tempo di Gregorio Magno. Dunque, Efisio non compie alcuna opera definitiva, non stabilisce la cristianizzazione dell’isola, non fonda alcuna chiesa. La sua funzione è transitoria.

 

Sant’Efisio è un’invenzione del 1650

PARTE VI – L’ELEMENTO MISTICO NON GIUSTIFICA LA NARRAZIONE BAROCCA

La visione celeste, la spada consegnata da un angelo, la fuga disordinata dei barbari: tutti elementi che possono facilmente essere stati reinterpretati nei secoli successivi in chiave agiografica. Ma il testo originale mantiene sempre un tono diretto, scarno, senza miracoli compiuti dopo la morte, senza culto pubblico, senza apparizioni post mortem. Questo è cruciale.

Non c’è traccia di:

  1. processioni;
  2. voti popolari;
  3. salvezze cittadine;
  4. protezione da pestilenze;
  5. culto liturgico;

Tutti questi elementi appariranno solo dopo il 1650, con la peste e la rifondazione del culto da parte del viceré di Cagliari e del clero tridentino. Prima di allora, Efisio non è mai oggetto di culto popolare. È solo un personaggio storico con una visione mistica.

PARTE VII – IL TESTO NON USA “SANT’EFISIO”: L’AGGIUNTA È MODERNA

In tutto il blocco originale analizzato, il nome “Efisio” compare sempre senza titolo religioso. È chiamato semplicemente “Efisio”, o soprannominato “Stratelates”, cioè comandante. Solo dopo la visione e la battaglia, compare l’appellativo “beatus” in alcuni casi, ma mai in modo sistematico.

Il titolo di “santo” è assente.

Questo significa che la denominazione “sant’Efisio” è una costruzione posteriore, non attestata nel documento su cui si basa tutta la narrazione antica. Le fonti più attendibili lo chiamano col suo nome proprio, senza aureola.

PARTE VIII – IL CONFRONTO CON I DATI MODERNI: UNA STORIA RIFATTA

Il culto moderno nasce solo nel 1656, quando in piena peste Cagliari si affida alla figura di Efisio come protettore. La processione annuale, l’altare, la statua, il voto cittadino… tutto nasce mille anni dopo i fatti. E non su basi documentali, ma per necessità devozionali e liturgiche.

Nel Barbaricinorum libelli non si fa menzione di alcuna reliquia, chiesa, festa o comunità dedita al culto di Efisio. Non c’è traccia del martirio a Nora in termini liturgici. Nessuna messa, nessuna traslazione del corpo, nessuna celebrazione.

Ciò dimostra che il culto è stato costruito dal nulla, su una figura che fino al Seicento era nota solo come comandante romano convertito, non come patrono, taumaturgo o santo cittadino.

PARTE IX – IL RUOLO DI GREGORIO MAGNO: NON EFISIO MA IL PAPA PORTA IL CRISTIANESIMO

Il testo si conclude con un’affermazione fortissima: i Barbaricini non furono convertiti da Efisio, ma da Gregorio Magno. Efisio non fonda nulla, non predica, non battezza.

«Affinché fosse Gregorio papa con la sua opera di evangelizzazione a decretarne la definitiva fine.»

Questa frase è distruttiva per la leggenda post-tridentina. Non solo Efisio non converte, ma la sua azione è considerata insufficiente, provvisoria, superata. La vera cristianizzazione è affidata a un altro uomo, vissuto secoli dopo. Efisio è solo uno dei tanti ufficiali romani colpiti da un’esperienza religiosa, ma non è mai posto come fondatore di nulla.

PARTE X – CONCLUSIONE: RESTITUIRE EFISIO ALLA SUA VERITÀ STORICA

La figura di Efisio, così come emerge dal Barbaricinorum libelli, non è quella del “santo patrono” che oggi viene celebrato a Cagliari. Non è neppure quella di un martire cristiano che predica e converte. È, piuttosto, quella di un comandante militare romano, fedele all’Impero, incaricato di condurre una campagna di repressione armata contro le popolazioni sarde ribelli.

Dai testi, possiamo affermare con certezza:

  1. Che Efisio non era cristiano al momento della sua partenza.
  2. Che fu scelto da Diocleziano per guidare una spedizione militare.
  3. Che subì una sconfitta iniziale (15 navi affondate, soldati uccisi).
  4. Che la sua conversione avvenne in seguito a una visione notturna, dopo la disfatta.
  5. Che il successo della battaglia successiva fu attribuito non alla forza di Roma, ma all’intervento di un angelo.
  6. Che i Barbaricini non furono sottomessi da Efisio, e la loro evangelizzazione fu compiuta solo molto dopo da papa Gregorio Magno.
  7. Che nel testo non appare mai la parola “santo” associata a lui, se non in forma indiretta e in passaggi redazionali.

Il Barbaricinorum libelli non riporta alcuna liturgia, alcun culto, alcuna tradizione popolare legata a Efisio. Nessun miracolo è attribuito a lui dopo la morte. Nessuna salvezza di città o popolo. Nessun patto votivo. Nessuna chiesa. Nessuna statua.

Questa immagine spoglia, ma autentica, di Efisio si scontra frontalmente con l’Efisio del Seicento: protettore dalla peste, santo patrono di Cagliari, oggetto di una delle più grandi processioni d’Europa.

Ma quel culto è una reinvenzione storica, nata per motivi politici e religiosi durante la crisi sanitaria del 1656. È a partire da allora che il nome di Efisio viene strappato al suo contesto storico e riscritto, trasformato in un martire eroico devoto al popolo sardo, simbolo di salvezza e protezione.

CONCLUSIONE GENERALE DEL SAGGIO

Il presente saggio, costruito esclusivamente sulla base della traduzione letterale del Barbaricinorum libelli, senza interpolazioni, ha dimostrato quanto segue:

  1. Efisio non è un santo originario.
  2. Il suo culto moderno è frutto di costruzione barocca.
  3. Il racconto antico lo presenta come militare romano, non predicatore.
  4. Il vero evento fondante è la sua visione personale, non un’opera missionaria.
  5. I Barbaricini continuarono a resistere anche dopo la sua azione.
  6. Gregorio Magno e non Efisio fu il vero evangelizzatore dell’interno sardo.

Se si vuole rendere onore alla figura di Efisio, lo si deve fare nella verità storica: quella di un uomo romano, convertito per visione, ubbidiente a un dio sconosciuto fino a quel momento, vittorioso per grazia ricevuta e non per gloria imperiale.

Tutto il resto la processione, la statua, la peste, il voto non appartiene a lui, ma alla Sardegna del 1650.

Restituire Efisio alla sua verità è un dovere storico.

Farlo parlare con le parole del suo tempo, senza travestimenti devozionali, è il solo modo per farlo esistere davvero.

Sant’Efisio è un’invenzione del 1650

Traduzione letterale dei capitoli in cui si racconta la storia di Efiso contenuta nel De Barbaricinorum fortitudine

“Periodicamente, come s’è detto, i Romani inviavano contro i Barbaricini comandanti validissimi forniti d’esercito. Così fece anche Diocleziano con Efisio, incontro al quale discesero in assetto di guerra giacché non gradivano combattere sulle montagne gli Iliensi, che, nonostante si fossero come sempre battuti strenuamente e quindici navi romane si fossero infrante sulla costa, questa volta vennero sbaragliati. Un evento da cui Efisio trasse grande gloria perché non li vinse con umane forze ma con le armi assai più potenti della Croce, nel campo arborense, come gli era stato predetto dalle parole di Cristo: un angelo mandato dal cielo, infatti, gli somministrò le armi e la Croce per mezzo delle quali egli avrebbe clamorosamente vinto gli Iliensi. Ci informa di ciò il racconto che il presbitero Marco ha lasciato ai posteri, la cui veridicità è corroborata dalle parole dello stesso Efisio.

Frattanto Efisio, ricordandosi del popolo barbarico che occupava la Sardegna e che devastava tutte le terre e le province, riunì una moltitudine di soldati e truppe di mercenari e, intrapresa la navigazione, giunse nei pressi dell’isola. A quel punto il popolo barbarico, risoluto ad opporre resistenza, si portò in massa verso il mare incontro a quelli e dichiarò loro guerra.

Sorse nel mentre una violenta tempesta e un vento impetuoso spinse a terra quindici delle navi di Efisio e dei suoi soldati; ma, per grazia di Dio, Efisio non era su nessuna di quelle. Intanto i barbari, che erano schierati lungo la costa, catturarono e trucidarono tutti gli uomini trovati sulle navi. Quanto a Efisio, udendo egli il clamore del popolo e venendo a sapere che la maggior parte dei suoi erano morti, scongiurava terrorizzato la sconfinata misericordia di Dio e con animo contrito e supplichevole pregava il Signore: “Non fare, o Signore, che le acque tempestose mi sommergano.”

Mentre innalzava questa preghiera, la tempesta si placò e cessò la furia del mare. Ripresa quindi la navigazione col mare calmo e il favore di Dio, Efisio e quelli che erano scampati giunsero a un fiume in una località che chiamano Arborea e, penetrati nella sua foce e risalitolo per circa tre stadi, sbarcarono, lui e i suoi uomini, con i cavalli e tutte le cose che avevano portato con sé; dopo di che alcuni soldati si allontanarono per perlustrare la zona e vagliare con la massima attenzione il da farsi.

A quel punto si fecero loro incontro i barbari, alcuni dei quali furono uccisi, mentre altri, con le mani legate dietro la schiena, vennero condotti innanzi a Efisio, il cui soprannome era “Stratelates”. La notte seguente, non appena Efisio si abbandonò al sonno, apparve a lui il Salvatore del mondo Gesù Cristo che gli diceva: “Gaudio sia a te sempre”, e soggiunse: “Fatti coraggio, e trovi conforto il tuo cuore”. Allora, ridestatosi e vinta la paura della morte, egli disse ai suoi soldati: “Non temete, perché è stato Cristo crocifisso per la salvezza del genere umano a metterci alla prova; sappiate che ora Lui è al nostro fianco. Proseguiamo, dunque, ed esploriamo la zona.”

Messisi in cammino, arrivarono in una località che chiamano Tirso ed ecco sopraggiungere i barbari in assetto di guerra e con in animo la vittoria. Ma accadde che, mentre le due parti, elevato il grido di guerra, si dirigevano una contro l’altra, Efisio vide alla sua destra, in direzione d’oriente, un uomo seduto su un cavallo bianco che, tenendo nella mano destra una spada a due tagli e portando sopra di sé l’immagine della santa e vivifica Croce, gli diceva: “Questo è il venerabile simbolo del Re di tutti gli uomini”; e i due si scambiarono il saluto.

Allora Efisio, scendendo da cavallo e deponendo le armi belliche, si prosternò a lui in atteggiamento di adorazione e iniziò a porgli domande sul Re a cui poco prima l’angelo aveva fatto cenno, e questo rispose: “Quel Re di cui mi chiedi mi ha mandato in tuo soccorso con la spada che vedi impugnata dalla mia mano, grazie alla quale vincerai tutti i nemici e i barbari; e quando l’avrai ricevuta e avrai piegato con essa i tuoi avversari, dovrai sempre essere memore di Colui che ebbe cura di mandartela.”

Detto ciò, pose la spada nella mano di Efisio dicendogli: “Seguimi.” Non appena i Barbari già schierati a battaglia videro quell’uomo e Efisio, furono pervasi da un incomparabile timore e, volte le spalle, iniziarono a fuggire disordinatamente. Allora Efisio si gettò all’inseguimento insieme ai suoi soldati e li sbaragliò. La vittoria gli era stata inviata dal cielo per mezzo dell’angelo. Questa è la storia di Efisio.

Non è dunque da attribuirsi a forze umane ma alla virtù divina se i Barbaricini volsero le spalle. Loro che, mai vinti da alcuna potenza imperiale, fuggirono l’angelo minaccioso che sotto gli occhi di tutti accompagnava Efisio: infatti, non a caso a vincerli fu la spada a lui consegnata, non a caso fu l’angelo mandato dal cielo, dal momento che era stabilito dall’oracolo divino del quale abbiamo riconosciuto sopra la veridicità che i Barbaricini non sarebbero stati soggiogati da alcuna potenza imperiale. Ma furono vinti del tutto? Furono tutti sottomessi al giogo della servitù? No di certo, visto che la volontà divina non era questa, ma piuttosto che, obbedendo all’angelo, si mettessero in salvo dalla furia di Efisio. Quanto ciò sia da ritenersi vero, lo dimostrano il fatto che la colonia dei Barbaricini rimase integra e le guerre che ancora dopo molto tempo essi suscitarono contro gli imperatori romani, e questo affinché fosse Gregorio papa con la sua opera di evangelizzazione a decretarne la definitiva fine.”

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